E’ passato molto tempo ormai dall’uscita in Italia del Diavolo veste Prada ma ad oggi si potrebbe sostenere con assoluta certezza che Miranda Priestly e la sua rivista Runway hanno fatto non solo la storia del cinema, diventando una commedia cult, ma sono riusciti a descrivere un aspetto della moda che, nonostante i cambiamenti della società, rimarrà per sempre invariato.
Il film, tratto dall’omonimo romanzo di Lauren Weisberger, uscì nelle sale cinematografiche nel 2006 riscuotendo all’istante un successo clamoroso. Accompagnata da innumerevoli nomination ai Golden Globe e vincendo due premi Oscar, la commedia incentrata totalmente sul mondo della moda e del fashion, è riuscita ad estrapolare una filosofia e un aspetto sociologico, all’interno di un’ambiente frenetico ed egocentrico.
Dunque, veniamo al punto: Cosa ci ha insegnato Miranda Priestly? Verrebbe da dire, in un primo momento, che Miranda, interpretata da un’elegante Maryl Streep, non ci ha insegnato nulla: è il capo che tutti non vorremo avere, che ci fa passare la voglia di lavorare. In realtà Miranda è molto più di questo: è una donna che ha dedicato tutta la sua vita alla moda, allo stile, cercando di interpretarne i cambiamenti in base alle esigenze della società. Ci ha fatto capire che un abito non è semplicemente un abito ma è frutto del lavoro di professionisti che hanno cercato di rappresentare con indumenti e colori lo stile di milioni di persone; ci ha fatto notare che il ceruleo non è soltanto un azzurro più scuro, ma è un colore specifico che per anni è stato studiato da esperti del settore.
In poche parole ci ha fatto capire che la moda è “una cosa seria” che deriva da studi approfonditi su persone. La moda è qualcosa che appartiene a tutti ed è pensata per tutti.
“Oh, ma certo ho capito: tu pensi che questo non abbia niente a che vedere con te. Tu apri il tuo armadio e scegli, non lo so, quel maglioncino azzurro infeltrito per esempio, perché vuoi gridare al mondo che ti prendi troppo sul serio per curarti di cosa ti metti addosso, ma quello che non sai è che quel maglioncino non è semplicemente azzurro, non è turchese, non è lapis, è effettivamente ceruleo, e sei anche allegramente inconsapevole del fatto che nel 2002 Oscar de la Renta ha realizzato una collezione di gonne cerulee e poi è stato Yves Saint Laurent se non sbaglio a proporre delle giacche militari color ceruleo. E poi il ceruleo è rapidamente comparso nelle collezioni di otto diversi stilisti. Dopodiché è arrivato a poco a poco nei grandi magazzini e alla fine si è infiltrato in qualche tragico angolo casual, dove tu evidentemente l’hai pescato nel cesto delle occasioni. Tuttavia quell’azzurro rappresenta milioni di dollari e innumerevoli posti di lavoro, e siamo al limite del comico quando penso che tu sia convinta di aver fatto una scelta fuori dalle proposte della moda quindi in effetti indossi un golfino che è stato selezionato per te dalle persone qui presenti… in mezzo a una pila di roba.” (Miranda Priestly, Il diavolo veste Prada).
Miranda Prieslty, nel Il diavolo veste Prada, ci ha portato dietro le quinte di un ambiente di cui noi vediamo solamente il prodotto finito in passerella, non curandoci del fatto che il retroscena è composto da centinaia di persone che lavorano e studiano per cercare di interpretare le nostre esigenze. Miranda ci ha insegnato che la bellezza va presa seriamente e che, si, l’abito fa il monaco proprio perché esprime personalità. Quindi oggi, dopo unidici anni dall’uscita della pellicola, possiamo dire che il Diavolo veste prada è si un film, ma è anche una lezione di vita… e di moda.